Una vita da Test Pilot – intervista a Fabio Consoli

Fabio Consoli F104

Classe 1961, Fabio Consoli è stato un Test Pilot dell’ Aeronautica Militare Italiana.

Attualmente pilota di linea su B777, Fabio ha all’attivo oltre 17.000 ore di volo con diversi velivoli come G-91, F-104, AMX, Eurofighter, F-4, F-5, F-15, F-16, F-18, A-7, B-52, C-130, C-141, G-222 e molti altri.

Continua la lettura per scoprire, attraverso la nostra intervista, qual è stata la carriera di Fabio Consoli e quali sono le attività e la formazione di un Test Pilot.


Il percorso iniziale di un pilota militare, quello che è caratterizzato dal trasformare la passione per il volo, attraverso impegno, dedizione e un pizzico di fortuna, nell’ottenimento dell’aquila turrita, è simile per molti. Nello specifico, da dove è nata la tua passione per il volo e come si è svolta la fase iniziale della tua carriera?

Sono nato a Catania, nel 1961, il maggiore di sei figli. Mio padre era un ingegnere civile e mia madre lavorava a tempo pieno correndo dietro la sua numerosa prole. La mia famiglia non aveva alcun background di tipo aeronautico. Zero. Ma io, per qualche motivo, ho sempre avuto una grande passione per gli aerei e per il volo: ero il tipico ragazzino che come tanti, rispondeva, a chi mi chiedesse cosa avrei voluto fare da grande, che avrei fatto “IL PILOTA”. Solo che poi non ho mai dato risposte diverse. La mia passione era diretta soprattutto verso tutto ciò che fosse volo militare. Eravamo benestanti direi, ma non ricchi: mio padre non ci fece mai mancare nulla, soprattutto per quanto riguardava l’istruzione, ma non potevo certo permettermi un brevetto civile. Comunque, poco male, perché da ragazzo non ero proprio interessato a diventare pilota di linea: io volevo diventare un pilota da caccia.

Durante il mio ultimo anno di liceo scientifico, nel 1979, feci domanda per partecipare al bando di concorso dell’Aeronautica Militare per 120 allievi piloti dell’Accademia Aeronautica. L’anno successivo partecipai alle selezioni e, in qualche modo, risultai idoneo e vincitore: 118° sui 120 posti disponibili. Mio padre era un po’ scettico sulla mia attitudine alla vita militare e, certamente, non ebbi alcun tipo di raccomandazione. Lo dico per tutti i ragazzi che non partecipano ai concorsi perché “tanto, se non hai la raccomandazione, non entri di sicuro”.

Il 4 settembre 1980 mi presentai ai cancelli dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli e venni inquadrato nel corso “Zodiaco III”. Insieme ai miei “fratelli” mi guadagnai l’aquila di pilota dopo la selezione a Latina sul SF260. Fummo subito esposti alla dura realtà della vita in aeronautica, non solo per la disciplina ferrea, lo studio e la vita semi-monastica, ma, soprattutto, perché perdemmo subito un collega in un incidente di volo a Latina. L’allievo pilota Giulio Ottolenghi ed il capitano Antonio Bigliatti caddero il primo dicembre del 1980. Mi piace ricordarli qui. Credo di poter dire che, per tutti noi, fu il primo, vero e duro “battesimo del volo”. Purtroppo, per lo Zodiaco III, non fu neanche l’ultimo.

Nel 1983 divenni sottotenente e nel 1984 cominciai il vero addestramento per diventare pilota militare. Fui inviato, insieme a 19 altri “zodiacali” a Sheppard AFB, in Texas. Eravamo i primi italiani a frequentare l’Euro-Nato Joint Jet Pilot Training Program (ENJJPTP).

Volammo su T-37 “Tweet” e su T-38 “Talon” e ci guadagnammo (tutti e 20, nessun “bocciato”!) l’ambita aquila turrita nell’estate del 1985: eravamo i primi piloti che venivano insigniti del simbolo del pilota militare al di fuori delle scuole di volo dell’Aeronautica Militare. Prima di allora, il brevetto di pilota militare si otteneva solo dopo aver fatto la scuola di volo di Amendola.

Passammo comunque da Amendola, dove facemmo una specie di pre-operativo sul G-91T e, da lì, venimmo assegnati alle varie linee caccia. Io venni assegnato al 104 e perciò venni inviato presso il 20° Gruppo del 4° Stormo, a Grosseto, dove frequentai il corso di abilitazione sul TF-104G.

Nel marzo del 1986 venni assegnato al 28° Gruppo del 3° Stormo, a Villafranca di Verona. Era il reparto che avevo chiesto nelle mie “desiderata” (la lista dei sogni per la prima assegnazione ai reparti).

Diventai “combat ready” lo stesso anno e rimasi al 28° fino al settembre del 1988.

Dopo anni presso i reparti operativi, come mai la scelta di partecipare al concorso per diventare Test Pilot? Come si svolge la selezione per questo importante e complesso ruolo all’interno della Forza Armata?

Nel 1988 venni convocato presso il Reparto Sperimentale Volo per le selezioni. Il RSV chiamava ogni anno 5 o 6 piloti di un determinato corso d’Accademia per poi prenderne 2 o 3, a seconda delle esigenze. Allora venivano selezionati solo piloti dei corsi regolari, tra i primi nella graduatoria, e solo provenienti dalla linea caccia.

Il RSV, insieme alle Frecce Tricolori, era, ed è tutt’ora, decisamente un reparto di punta dell’Aeronautica Militare. Per me essere “on the edge” è sempre stato molto importante: in realtà, ad esempio, avrei preferito andare sul Tornado, perché quella, allora, era la punta di diamante, dal punto di vista operativo, dell’Aeronautica Militare. Per cui certamente ambivo a fare parte del RSV e diventare un pilota collaudatore.

La selezione prevedeva voli sull’ MB339, sul G222 e sull’AB47-G2, un elicottero molto “basico”. Si voleva esporre i piloti, provenienti, come dicevo, dai reparti caccia, a vari tipi di velivoli ed verificarne la naturale capacità di adattamento. Poteva essere, vi assicuro, un’esperienza che faceva molto riflettere, quasi umiliante. Veniva, inoltre, osservata la capacità di lavorare in team, ma anche quella di lavorare in assenza quasi totale di supervisione: la maturità professionale e personale, in altre parole. Naturalmente vi erano anche prove scritte di matematica, aerodinamica e propulsione.

Comunque, fummo dichiarati tutti e 6 idonei ed io fui uno dei tre ad essere scelto. Devo dire che fui molto fortunato: i miei “fratelli” dello Zodiaco con i quali feci la selezione erano, sono, piloti e uomini magnifici. Uno di loro optò comunque per rimanere presso il suo reparto operativo, mentre un altro fu scelto per entrare a far parte delle Frecce Tricolori. Senza queste due defezioni, non sono sicuro che sarei stato tra i tre prescelti.

Qual è il compito di un Test Pilot?

In termini generali, il compito del pilota collaudatore è la rilevazione delle prestazioni e delle qualità di volo di un qualsiasi velivolo e l’effettuazione di prove sperimentali su velivoli prototipi e di serie, o su singoli apparati, per l’aggiornamento e ottimizzazione dei diversi sistemi.

Praticamente, il pilota collaudatore può essere chiamato a valutare e a determinare le prestazioni di qualsiasi cosa che poi vada in volo: dal singolo velivolo nel suo complesso fino a, ad esempio, alla tuta anti-G che sarà usata dai piloti dei reparti operativi.

Dopo essere stato selezionato all’interno del Reparto Sperimentale Volo, come si è svolto il corso che ti ha portato a diventare un Test Pilot?

Nel 1990 venni inviato negli Stati Uniti per frequentare il corso per piloti collaudatori presso la USAF Test Pilot School di Edwards AFB, in California.

La mia classe era la 90B, la seconda del 1990, ed era formata da 25 tra piloti, navigatori ed ingegneri. 20 americani e 5 stranieri: due italiani, due canadesi ed un Radar Intercept Officer (RIO) di F-14 della Navy che, nonostante fosse un americano, era considerato uno straniero a tutti gli effetti.

Il corso era diviso in 4 fasi: “performances”, “flying qualities”, “systems” e “testing & reporting”.

I velivoli della USAFTPS in quel periodo erano l’onnipresente T-38 “Talon”, l’F-4 “Phantom”, l’A-7 “Corsair” e l’F-16 “Fighting Falcon”. Su questi aeroplani siamo stati qualificati per volare anche da soli. Poi, nelle varie fasi, abbiamo potuto volare su moltissimi altri aerei. C’era la Guerra del Golfo in quel periodo, ed era piuttosto difficile reperire aeroplani per l’attività della scuola; comunque volai anche su F-15, F-18, F-5, Twin Otter, C-130, C-141, B-52, A-37 e alianti vari. Non sono tutti ma danno comunque un’idea della varietà di aerei alla quale eravamo esposti.

Durante le prime tre fasi del corso ci veniva insegnato come rilevare i dati necessari per definire le prestazioni di velivoli e sistemi e le qualità di volo di un qualsiasi aeroplano. Nella parte finale del curriculum ci veniva richiesto di fornire una valutazione qualitativa (senza dati numerici) di vari mezzi per particolari missioni.

A me, ad esempio, mi venne chiesto di valutare il B-52 per il ruolo di penetrazione a bassa quota e l’F-18 per l’attacco al suolo.

L’esame finale consisteva, invece, in un vero programma di test, ancorché piccolo, che veniva passato alla scuola dal sistema logistico dell’USAF. Al mio team fu assegnato l’incarico di valutare un simulatore per l’addestramento dei piloti alla rimessa dell’F-16 dal “deep stall”. (n.d.r: il “deep stall” è una forma di stallo particolarmente pericolosa che si traduce in una sostanziale riduzione o perdita dell’autorità sull’elevatore, a causa della turbolenza causata dallo stallo della superficie principale, rendendo inefficaci le normali azioni di recupero dello stallo. In molti casi, un aereo in deep stall potrebbe essere irrecuperabile)

Pochi mesi fa è venuto a mancare il Test Pilot per antonomasia, definibile una leggenda del volo, Chuck Yeager.

Durante il tuo periodo alla Test Pilot School hai avuto l’occasione di conoscerlo?

Conobbi il generale Yeager nel 1990, a Edwards. Per tradizione egli veniva all’USAFTPS ogni sei mesi per tenere una “lectio magistralis” ad ogni nuova classe. Ci consegnava personalmente le sciarpe della scuola da indossare con la tuta da volo e poi passava un po’ di tempo con noi all’ O’ Club davanti ad una birra e a raccontarci delle sue esperienze. Per noi era come stare accanto ad un mito.

Ricordo ancora quello che ci disse durante la sua lezione, una vera perla di saggezza:

Remember, you are Mister Golden Hands. If you cannot do something with an airplane, it’s not you, it’s the airplane.

General Chuck Yeager

Fabio Consoli (davanti) con il generale Charles Elwood Yeager, il primo uomo a superare il muro del suono. Impresa effettuata il 14 ottobre 1947 pilotando l’aereo sperimentale Bell X-1

Tornato dagli USA, eri finalmente un Test Pilot. Com’è proseguita la tua carriera nella forza armata e quali compiti ti sono stati affidati all’interno del Reparto Sperimentale Volo?

Al mio rientro in Italia venni assegnato al “team Eurofighter”. Allora i piloti collaudatori del 311° Gruppo Volo erano divisi in “teams” che seguivano i diversi programmi e velivoli in linea allora con l’Aeronautica Militare. Il mio team seguiva lo sviluppo del velivolo Eurofighter, dedicandosi, soprattutto, allo sviluppo della “Man-Machine Interface” (MMI) nel cockpit del nuovo caccia europeo. Era il 1991 ed ancora non esistevano prototipi volanti dell’Eurofighter. Era uno sviluppo che avveniva tutto su un simulatore a Warton, presso la British Aerospace. In quel “mock-up” abbiamo partecipato, insieme ai piloti collaudatori di tutte le altre Nazioni, allo sviluppo della simbologia, presentazione ed ergonomia del cockpit. Possiamo dire che, mentre ancora non c’era un esemplare volante dell’EF2000, noi già siedevamo nell’abitacolo della versione finale operativa del velivolo. Queste sessioni si chiamavano “Cockpit Assessment Working Party” (CAWP).

Naturalmente avevamo anche altri programmi da seguire, che venivano assegnati singolarmente a seconda delle disponibilità personali. Ad esempio, io seguii l’inizio del programma F-104 ASA-M.

Un altro aspetto del lavoro al RSV erano le presentazioni in volo. Uno dei compiti del Reparto, infatti, era quello di presentare in volo i velivoli dell’AM nelle manifestazioni aeree e nei saloni aeronautici. Io presentai, prima come copilota e poi come comandante, il G222. Era uno delle attività più divertenti e soddisfacenti.

Nel febbraio 1996 fui fortunato a trovarmi al posto giusto nel momento giusto e, finalmente, dopo tanti anni di partecipazione ad un programma senza velivoli, riuscii a fare il primo volo di un pilota del RSV sul DA3, il terzo prototipo, dell’EF2000. Fu un momento di enorme soddisfazione personale e professionale.

In seguito partecipai anche alla prima “official preview” del velivolo prima della firma del contratto di produzione. Con un team del RSV mi rischierai a Manching, in Germania, per volare il DA1 tedesco e scrivere il primo rapporto sullo stato di sviluppo del programma.

Nel 1997, dopo aver frequentato la Scuola di Guerra Aerea e l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, mi fu assegnato il comando del 14° Gruppo del 2° Stormo, a Rivolto, in provincia di Udine.

Il 14° era dotato di velivolo AMX “Ghibli”, affettuosamente soprannominato dai suoi piloti “Topone Grigio”.

Tornare “operativi” dopo molti anni non fu semplice: prima di tutto bisognò costruirsi un credibilità professionale dopo tanti anni di un lavoro completamente diverso. Per questo motivo affrontai tutto l’addestramento per la “combat readiness” prima e, in seguito, per guadagnarmi le qualifiche di capocoppia e capo formazione che non avevo mai avuto. Fu un periodo nel quale ero, sì, il comandante di gruppo, ma, nello stesso tempo, anche un pilota in addestramento.

Fu un periodo intenso e bellissimo.

Con il 14° feci delle “missioni di guerra”, quelle riportate in rosso sul libretto di volo, sui cieli della Bosnia. Partecipammo alla prima “Maple Flag” (la Red Flag canadese) dell’AMX effettuando, in quell’occasione, anche la prima trasvolata dell’Oceano Atlantico. Facemmo parecchi rischieramenti per la campagna tiri e ACMI a Decimomannu e partecipammo alla esercitazione “Strong Resolve” a Moron de la Frontera, in Spagna.

Mi congedai nel 1999 con il grado di tenente colonnello, quando ormai la mia carriera da pilota militare stava volgendo al termine.

Come sai all’interno di questo blog c’è un portale chiamato “Giovani e Formazione“, dedicato a coloro che si stanno avvicinando al mondo del volo.

Che consigli ti senti di dare, dopo una vita in volo passando da aeromobili supersonici a velivoli di linea, ai giovani che intendono tentare l’ammissione ai concorsi AM o comunque che sognano una carriera come piloti?

Credo che siano molte le cose siano importanti per un giovane che voglia cominciare la carriera da pilota. Ma, secondo me, ce ne sono due che sono veramente fondamentali e che sono valide sia per iniziare la carriera da pilota militare sia quella da pilota civile.

Prima di tutto credo che ci voglia una grande motivazione: lo richiede l’addestramento che si dovrà affrontare, il tipo vita che si dovrà vivere ed i sacrifici inevitabili, siano essi finanziari, familiari, di qualità della vita, che una scelta di questo tipo porterà. Non è un lavoro che possa “capitare” o per il quale ci si possa semplicemente frequentare una scuola od un corso di laurea per poi cercarsi un semplice posto di lavoro. È una di quelle professioni che ancora richiede una “vocazione”, una passione per il volo e per tutto ciò che si sollevi da terra. Se no non si spiegherebbero le migliaia di persone che volano per passione, usando il loro denaro ed il loro tempo libero per farlo.

Secondo, una grande umiltà: è una qualità che spesso si scontra con il grande ego e fiducia in sé stessi che un pilota deve per forza avere. In questo lavoro, anche quando magari si comincia ad insegnare agli altri, non si smette mai di imparare. E, a volte, è anche il fattore che ti tiene in vita. Si diceva al reparto che il momento più pericoloso per un pilota fosse quello subito dopo la “combat readiness” fino alle prime 6/700 ore di volo: il momento in cui sei ancora relativamente giovane ed inesperto ma pensi di essere un gran pilota, di avere tutto sotto controllo e di non aver più nulla da imparare per ciò che riguarda portare un aereo da combattimento in volo.

L’esperienza è tutto in questo mestiere e l’esperienza non si insegna: la si vive.

Fabio Consoli

Si ringrazia Fabio Consoli per la cortesia e la disponibilità dimostrata nella stesura di questo articolo

Author: Luca Ocretti

Fondatore e amministratore di AvioHub.it. Visita la sezione "Chi Siamo" per saperne di più